CERIMONIA IN RICORDO DEI CADUTI PECORARI , POLONIO E MINIUSSI

05.03.2015

Ricordati i valori indicati da Polonio, Pecorari e Miniussi

RONCHI DEI LEGIONARI. «Oggi, accanto a questo monumento, ricordiamo le gesta di due uomini insigniti con la medaglia d'oro, Ugo Polonio morto sulle alture di Vermegliano il 21 ottobre 1915 durante la...

RONCHI DEI LEGIONARI. «Oggi, accanto a questo monumento, ricordiamo le gesta di due uomini insigniti con la medaglia d'oro, Ugo Polonio morto sulle alture di Vermegliano il 21 ottobre 1915 durante la Prima guerra mondiale e Ottone Pecorari morto nel 1936 in una terra lontana, in Africa.

Ma ricordiamo anche l'autiere Corrado Miniussi, insignito di medaglia di bronzo. Tre uomini che hanno sacrificato la loro vita per un unico grande ideale, la patria».

Sono state queste le prime parole pronunciate ieri dal vicesindaco, Livio Vecchiet, in occasione della tradizionale cerimonia svoltasi a Ronchi dei Legionari.

Anche questa volta, accanto al gonfalone della città e ai labari delle associazioni, erano presenti due classi della scuola media "Leonardo da Vinci" e il coro della società filarmonica "Giuseppe Verdi".

Una cerimonia dal sapore particolare, in considerazione del fatto che quest'anno ricorre il centenario dell'entrata in guerra dell'Italia.

«Il nostro Comune, che quella volta si trovava sotto la dominazione austroungarica - ha aggiunto Vecchiet - fu coinvolto in maniera drammatica dall'entrata in guerra.

La nostra popolazione fu costretta ad abbandonare tutto, case, animali, in pochi giorni e in gran parte trasferita nei campi profughi, in particolare in quello di Wagna, in Stiria, diventato nel 1969 nostro Comune gemellato».

Una pagina della storia alla quale Ronchi dei Legionari è molto legata. «Sono passati quasi cento anni dall'inizio della Prima guerra mondiale, il Carso, il nostro Carso è ritornato silenzioso - ha proseguito -, ma basta andare a passeggiare per visitare tutte le trincee ancora esistenti, le grotte, gli anfratti dove si nascondevano i nostri militari, dove vivevano nell'attesa degli ordini per un nuovo assalto, dove tanti di loro aspettavano solo di morire, dove la vita non valeva nulla.

Pensiamo solo che l'altopiano che da Selz porta a Doberdò del Lago era denominato l'altopiano della morte da parte dei soldati, perché quando si partiva nessuno sapeva se sarebbe tornato, la vita di ognuno di loro era appesa ad un filo.

E da questa storia dobbiamo imparare perché certe tragedie non succedano mai più»

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